NOTE DI REGIA _ La Casa. Lagrimis di aiar e soreli
Di Carlotta Del Bianco

Macerie. Terra. Polvere. Si sgretolano tutti, anche la casa. Lo sfaldarsi delle rigidità costruite nelle consuetudini travolge persone, anime. Convenzioni, illusioni di resistenza rendono l’amore incapace di manifestarsi in libertà. Come se il ripetersi della Storia, così per come ci dicono che deve essere e sempre sarà, fosse certezza di giustizia e verità.
La salvezza della casa, la nostra, invece, sta in un respiro spontaneo. Si cade per imparare a rialzarsi. Se la casa coglie il mutamento, allora non crolla. Diviene un’architettura dell’anima, pronta a torcersi pur di non perdere la propria verità. Maddalena paga per la casa. Toccherà quindi alla casa la fatica di inventarsi una rinascita, di espiare le proprie colpe, scolpite nella pietra. A chi la abiterà un lascito, un monito. E’ tempo di essere trasparenti nella nostra umanità, di scoprirci per tornare ad essere. Qui e ovunque. Sempre.

Marta Riservato – ASSISTENTE ALLA REGIA

Avvicinarsi a questa esperienza nel ruolo di assistente alla regia è stato per me come entrare in un mondo caro e conosciuto, ma scoprendolo da un’angolatura diversa e quindi del tutto nuova. Mettersi dall’altra parte, favorire l’opera non da davanti ma da dietro, da quel dietro le quinte che mi è tanto caro, mi consente di fare una grande esperienza di umiltà, per me qualità fondamentale per un attore. La mia professione è infatti quella di attrice, questo mi consente di essere quel
tramite tra il fuori scena e la scena che mi consente di incontrare gli attori e accompagnarli quasi per mano all’incontro personale con ognuno dei loro personaggi, dove per personale intendo quel favorire le caratteristiche proprie di ognuno che rendono poi i personaggi non universali, ma terribilmente umani.
Lavorando accanto e in stretta collaborazione con la regista, Carlotta Del Bianco, ho il privilegio di fare esperienza di cosa significhi approcciare il lavoro non solo attraverso una struttura sia tecnica che di attitudine molto definita – modalità che mi appartiene – ma entrare in un ascolto che permette al lavoro di fiorire attraverso altri canali: quello della spontaneità e del sentire. Affidarsi è quindi la parola chiave con cui mi sto facendo attraversare da questo lavoro.

Elsa Martin – MADDALENA

Maddalena si aggrappa all’amore per sopravvivere. E’ un imperativo del cuore, un’ urgenza perchè rispondente alla sua natura interiore. Soffocare l’istinto del farsi dono che si manifesta nell’ unione unione carnale dei corpi, nel vibrare di sensualità a tutti i livelli, nel sentimento eterno e totalizzante che prova per suo marito, o nel porgere uno sguardo compassionevole (inteso come pietas), significherebbe reprimere quella parte del sé collegata alla forza vitale. A-more (A-mors) assume il significato di sottrazione alla morte, al perire dello spirito. La sua vita è un continuo scontrarsi con i confini che le vengono imposti, è una lotta disperata tra ciò che riponde al suo bisogno profondo – irrinunciabile per natura – e ciò che è ritenuto giusto e bene secondo la regola sociale, morale, della casa. E’ una guerra che le consuma l’anima. Cosa significa commettere un peccato? Macchiarsi di un’onta che fa rimanere curvi sotto il peso della vergogna? E quando non lo si compie, non significa spesso, forse, l’ aver peccato contro se stessi per non aver lasciato aperti i cancelli del cuore? Maddalena vive nel continuo ricomporsi, ricucire i brandelli dell’anima e ancora una volta porgerli in offerta, lavati, re-indossati, in una disperata richiesta di perdono che lei stessa cerca di concedersi. E’ una preghiera di libertà dal peso dell’inquietudine. Quale è il prezzo da pagare per vivere nella pienezza e per essere fedeli alla propria verità interiore?

Manuel Buttus – TONI

Oggi si è concluso il primo giorno di prove. Temevo questa ennesima ripresa. Questo ulteriore tentativo di far debuttare uno spettacolo in tempi di pandemia. Ho ritrovato compagni di viaggio determinati e pieni di voglia di lavorare. La stessa tenacia e la stessa determinazione che ha fatto sì che il Teatri Stabile Furlan potesse vedere la luce, la ritrovo in questi giovani e instancabili colleghi. Sono pieno di gratitudine.
Sono il più vecchio della compagnia. È la prima volta che mi capita da quando faccio questo mestiere. Ne ho preso coscienza oggi, quando alla fine del riscaldamento di inizio prove, ero l’unico che ansimava. È bello lavorare. È bello lavorare in serenità.
Mi piace il percorso che stiamo facendo. Qualche giorno fa ho recuperato nella mia memoria il personaggio che avevo lasciato a novembre. Ne ero felice. Oggi, mi sembra che quel Toni, non centri nulla con questo spettacolo. Abbi dubbi.
Ho cantato. Io… ho cantato. Incredibile!
Adoro quando chi dirige ascolta democraticamente il pensiero di tutta la compagnia. Trovo sublime il momento in cui dice: “Grazie, ma decido io!”.

Alessandro Maione – PIETRO

Pietro è un ragazzo. Prima di tutto è questo. In quanto tale sente le mura della Casa strette e opprimenti. Cerca, con la spensieratezza e i sorrisi, di portare una ventata di novità all’interno delle relazioni che lo circondano. Ma gli eventi e gli istinti, alle volte, sono più forti del nostro volere. La sua vita fatta di risate, spensieratezza e silenzi lo muoveranno verso la curiosità e la voglia di diventare adulto per raggiungere quei modelli di vita che tanto lo attirano. Gioca una continua partita a carte non conoscendo, però, fino in fondo le regole del gioco. Riuscirà a trovare pace nella solitudine o si piegherà anche lui a reprimere sé stesso per conservare il quieto vivere?

In un gruppo di lavoro straordinario stiamo cercando di far nascere le tensioni e le passioni che muovono questi personaggi così veri, così incredibilmente simili e vicini a noi. Il momento che viviamo ci comunica ancora di più quanto le relazioni siano fondamentali nella nostra vita e quanto ascoltare, aiutare e parlare con l’altro sia necessario per la nostra sopravvivenza e per raggiungere la nostra idea di felicità.

Caterina Bernardi – MIA

La cosa più emozionante per me comincia prima di entrare in teatro, sta proprio nell’arrivare a teatro da dietro, dalle quinte, dalle porte che non sono accessibili al pubblico. Oggi poi, sarà per il periodo, ho avuto lo stesso impatto di una prima volta, che poi, la vera prima volta è stata proprio qui e frequentavo ancora l’accademia. Come allora quello che ricordo sono le assi scure del pavimento e le sedie rosse che si perdono verso l’alto, il freddo che ti dà i brividi, l’aria che corre, come vento, anche se lo spazio è chiuso e senza finestre e un silenzio penetrante. Non molto dissimile mi immagino la casa del personaggio che interpreto, Mia.

La sua casa non è la casa dell’opera, è un’altra, che non si vede e di cui non si parla, ma che Mia si porta dentro in ogni azione e scelta che fa. Se, però, per me attrice questo spazio sospeso, misterioso, vuoto è uno stimolo per creare qualcosa dove qualcosa non c’è, per Mia non è così, per lei la sua casa è una costrizione che la spinge ad aggrapparsi costantemente ai muri per uscirne. Sarà una sorpresa anche per me vedere, da qui, cosa salterà fuori. 

Paolo Mutti – GIUSTO

“Giusto per me è come lo scoglio in mezzo al mare. Le onde si frangono su di lui, il sole brucia la sua pietra, le fessure e i suoi buchi accolgono ospiti marini che via via cambiano col tempo.  Addirittura qualcuno ci può camminare sopra, lasciando le proprie tracce. Ma lui resta li, qualsiasi cosa accada. Questo è Giusto, una roccia su cui tutto nasce, cresce e che inevitabilmente muore. Un uomo antico, fiero e sicuro, ma anche inquieto. Ora una nuova e potentissima onda si schianterà su di lui, e per tornare a respirare dovrà reggere l’urto di questo dolore.  Sarà solo, nessuno lo aiuterà. A sostenerlo ci saranno solo le sue infinite radici che si stringono al ventre abissale della terra.”

Portare in scena quest’uomo sarà come scavare nella vita di milioni di padri, mariti, che partirono e partono tutt’oggi per poter dare alla propria famiglia qualcosa da mangiare, qualcosa per cui vivere. Uomini che barattano la loro felicità per quella dei propri cari, col rischio di non tornare affatto, o che al proprio ritorno qualcosa sia cambiato. Sarà bello, motivante e mi farà crescere non solo come attore, ma anche come uomo e genitore.

Caterina Comingio – ROSE

Rose è un magma. Vive in un corpo diviso a metà, forte come un uomo perché porta tutto il peso della sua famiglia sulle spalle – famiglia di padri e madri come macigni, ingombranti – ed è uterina dalla vita in giù, perché viene da una giovinezza in cui poteva ancora scegliere qualcosa per sé. Cosa che naturalmente non è successa, altrimenti sarebbe un personaggio risolto. Raccoglie pezzi, mette insieme delle impressioni che diventano via via sospetti, fino alle parole che sgorgano ad un certo punto come lava su Pieri, senza più curarsi di tutto ciò che possono toccare, o ferire. Immagino che rimanga bruciata soprattutto lei, dalla rivelazione. E dalla constatazione che l’epilogo – che non svelerò! – possa ancora offrirle una briciola di riscatto. E’ una vera e propria Epifania che apre gli occhi, ma che può pure accecare. Ed è così per tutti i personaggi. Come si fa ad uscire da questa ‘Casa’? Esiste un’uscita accettabile, che salvi qualcosa del passato? E chi ne esce, soprattutto, quanto di sé ha conservato o distrutto?
Tutto questo è solo un frammento della bellezza che stiamo costruendo, solo pochi giorni di lavoro insieme, ma ricchissimi. Siamo un gruppo fortunato, perché penso che certi incontri non capitino a caso! Lavorare su un testo del genere, inaspettatamente esplicito eppure velato, grazie a silenzi più forti delle parole, è un privilegio immenso. Posso solo immaginare dove potremo ancora arrivare in un mese…

Patrizia Battacchi – SART’E’ COSTUMISTA

Nasco nell’arte e cresco sarta, modellista, stilista. I miei primi passi da professionista li ho mossi in un teatro e oggi sono di nuovo a dare un contributo ad una pièce teatrale. Conosco Carlotta e il suo entusiasmo e la sua passione per  “La casa” riaccendono la fiamma del mio primo amore. Un’opera scritta ad inizio del secolo scorso ma moderna, attuale,  per cui la prima sfida è portare in scena degli abiti che travalichino il tempo, senza una connotazione ben precisa se non quella dei componenti di questa famiglia, con i loro valori, sofferenti ed imperfetti. Ho pensato a tessuti solidi , senza stagione, a colori di terra e di cielo.
La seconda sfida, per me, è il friulano, che non mi appartiene né come lingua né come tradizione anche se dopo tanto tempo che vivo e lavoro in Friuli è, in qualche modo, parte di me.

Luigina Tusini – SCENOGRAFA

Mi presento, sono Luigina la scenografa di questo spettacolo, per ora sto lavorando in solitaria in studio e sto decorando 210 metri di tela che andrà a comporre il fondale e i laterali della scena. Ragiono con i colori e le forme. Una chiacchierata anche breve con Carlotta Del Bianco sul testo e da subito abbiamo sentito delle comuni suggestioni sceniche. Essenza cruda di impianto scenico, colori che ricordano il vissuto, la fragilità della vita, il canto dell’anima pieno di gioia e dolore, ecco allora la scelta di teli di lino decorati con colori di terra e polvere. Un tessuto leggero ma che a volte si stropicciato e tra le pieghe nasconde i pensieri.  Essenzialmente due colori che faranno da sfondo all’intrecciarsi di immagini proiettate. Una scena poco tradizionale nell’impianto, saranno a vista le americane che la sosterranno come nella vita vogliamo lasciare a vista anche la struttura dell’animo che ci sostiene. Gli oggetti e l’attrezzeria avranno un unico colore per staccarsi dal fondo. Un colore che sa di passato, di vissuto. Ho scelto colori che danno anche spazio al gioco di luce, essendo tenui possono diventare carichi e tragici allo stesso tempo in base alla luce e ai video che useremo. Per ultimo gli odori, vorremmo che si sentisse la terra, la polvere, ci stiamo lavorando, tutti con la stessa intensità e trasporto….un pochino come dovrebbe essere nella vita!

Marino Cecada / Massimo Racozzi
VISUAL DESIGNER

Il nostro lavoro, il visual-designer, é cercare di riuscire a  far ‘vedere’ quello che vi è ‘tra le righe’… sostituirci, un attimo, agli immaginari dello spettatore per creargliene degli altri. Su questa narrazione basata sul racconto di Siro Angeli, la direzione del lavoro e del pensiero visivo é quella di immaginare qualcosa che abbia i “profumi di una volta” ma simultaneamente sia anche tutto rapportabile al nostro tempo ed contempo. Ecco, senza presunzione, una piccola ricerca sull’ “eternità”. Le scenografie visive trasformeranno la Casa di Siro Angeli in una zona-non zona. Lo sfondo fatto di veli, usato come eterea superficie per le proiezioni in videomapping, sarà sede di uno spazio-tempo dinamico ed evolutivo tra i luoghi del sentimento.